Dott. Simone Bitti - psicoterapeuta
Sulla materia onirica
Abbandono o dominio e costi psichici
"La psicoterapia ha a che fare con due persone
che giocano insieme"
(Carl G. Jung)
Una delle caratteristiche principali dello sviluppo umano è la lunghezza del periodo di immaturità comportamentale del piccolo. Si suppone che il decennale sviluppo dell'organismo esponga il soggetto alla formazione di nevrosi caratteriali.
Per molti anni il bambino non potrà che considerare se stesso debole e gli adulti potenti.
Una caratteristica dell’immaturità emotiva in età adulta è proprio il considerarsi relativamente debole nei confronti di qualcosa relativamente più forte.
Se una persona si ritiene debole e indifesa rispetto agli altri può reagire in due maniere opposte.
Può attaccarsi a loro in quanto capaci di concedergli aiuto e protezione o evitarli in quanto potenziali minacce di sopraffazione e restrizione alla libertà personale.
Di solito il bambino mostra entrambi i comportamenti.
Nella situazione transferale nel corso di una psicoterapia questi atteggiamenti sono riprodotti fedelmente e possiamo vederli in tutti i pazienti, sebbene di norma è l’uno o l’altro a predominare.
Lo psicoterapeuta esperto sa che esistono due tipi estremi di paziente che gli procurano difficoltà.
C’è il tipo che fa ogni sforzo per compiacerlo e avvicinarglisi, gli si attacca disperatamente e pare intensamente interessato alla terapia.
L’altro cerca di tenerlo distante, evita i rapporti personali e si rivela indifferente a qualsiasi sforzo terapeutico.
Il primo si comporta come se il terapeuta fosse sempre sull’orlo di abbandonarlo, l’altro come se il terapeuta fosse una continua minaccia alla sua esistenza indipendente.
Il primo atteggiamento è caratteristico delle personalità più estroverse, il secondo di quelle introverse.
Entrambi sono atteggiamenti essenzialmente negativi, basati su due diversi tipi di paura. L’atteggiamento più estroverso può essere visto come depressivo, quello più introverso come schizoide.
La paura di essere abbandonato appartiene agli estroversi, isterici, ciclotimici, maniaco-depressivi.
La paura di essere dominato appartiene agli introversi, ossessivi-schizoidi, agli schizofrenici.
Il soggetto schizoide evita accuratamente ogni rapporto di carattere personale, ha un’aria distaccata e dà l’impressione di non avere bisogno degli altri.
Sia nel dare che nel ricevere mostra di avere problemi dato che deve difendersi dalla possibilità che si instauri un legame. Nel caso sia fobico, lo schizoide tende alla claustrofobia.
Fairbairn afferma che questi tipi umani siano incapaci di dimostrare affetto perché sono arrivati a credere che il loro tipo di amore sia pericoloso o funesto per gli altri.
I valori del soggetto schizoide sono ammucchiati tutti nel suo mondo interiore e ciò gli fa sottovalutare l’importanza degli altri e la loro capacità di essere dei buoni contenitori emotivi.
Per questo lo schizoide fa una pessima prima impressione: trovarsi di fronte a qualcuno a cui non interessa fare buona impressione e essere apprezzato è un’esperienza altamente frustrante.
La paura di essere abbandonato porta invece il paziente di tipo depressivo ad attaccarsi a qualunque costo.
Egli teme di rimanere solo e quindi tenderà a farsi travolgere da situazioni emotive riguardanti altri e a identificarsi troppo con esse.
La sua difficoltà principale è mostrare aggressività nei riguardi del prossimo che invece dev’essere sempre placato perché non lo abbandoni.
Gli altri sono sopravvalutati e il pericolo è che il soggetto finisca per considerarsi insignificante.
Dato che gli altri sono sopravvalutati il paziente tende a dare una prima impressione gradevole e se è fobico soffrirà molto probabilmente di agorafobia perché teme maggiormente di essere lasciato solo in uno spazio vuoto.
A causa del desiderio ansioso del paziente di fargli piacere, il terapeuta può facilmente sopravvalutare i suoi progressi, ma sarà lo stesso paziente a resistere ai progressi del trattamento per prolungarlo all’infinito.
Il pericolo principale del paziente depressivo è quello di perdersi in quanto personalità, perché la sua dipendenza lo porta a una iper-identificazione con gli altri.
In questo caso il terapeuta dovrà fare attenzione alle forze seduttive che governano il campo della terapia, mentre nel caso del paziente schizoide dovrà gestire le forze aggressive controtransferali, reattive alla paranoia del paziente.
Alienazione, memoria e linguaggio
(Jean Bothorel)
Specifica posizione caratteriale
Il carattere di una persona è una funzione delle forze che la governano e per capirne il valore dinamico Wilhelm Reich ha elaborato il concetto di armatura caratteriale.
L’inibizione dell’aggressività e l’armatura psichica vanno di pari passo con un tono muscolare aumentato, spesso addirittura una rigidità della muscolatura delle estremità e del tronco.
La psicoterapia e lo spazio del Sé
"L'anima nasce vecchia e diventa giovane: ecco la commedia della vita.
Il corpo nasce giovane e diventa vecchio: ecco la tragedia della vita."
(Oscar Wilde)
Tom Bower afferma che la vita del bambino è costituita da una moltitudine di spazi che in quella dell'adulto non esistono.
Movimenti controtransferali e centralità dell'esperienza del dolore
"Il dolore è fatto personale, ma è anche evento cosmico: questo intreccio di singolare e di universale permette, all'esperienza del dolore, di farsi linguaggio." (Natoli)
"Da un punto di vista psicoanalitico le vertigini sono altrettanto importanti quanto l'ansia. L'apparato vestibolare è un organo la cui funzione si oppone all'isolamento e alla separazione delle distinte funzioni del corpo.
Aggressività o distruttività?
"Si odia con eccesso quando si odia un fratello"
(Jean Racine)
All’interno della famiglia e delle relazioni tra fratelli può comparire un tipo particolare di aggressività che Edmund Bergler rinonimò pseudo-aggressività.
La pseudo-aggressività riguarda manifestazioni quasi sempre improvvise e inadeguate di aggressività che si verificano nei soggetti il cui comportamento consueto è tutto il contrario del comportamento aggressivo.
Secondo questo autore l’aggressività sana è:
1) suscitata da un ostacolo che bisogna superare;
2) si manifesta attraverso una esaltazione gioiosa della forza;
3) si dispiega con un’intensità proporzionata all’ostacolo;
4) va in cerca del successo e prova una viva soddisfazione nell’ottenerlo.
La pseudo-aggressività invece:
1) non è suscitata da un ostacolo esterno, ma da una spinta profonda che emana dall’inconscio;
2) si manifesta in un clima di tensione privo di gioia;
3) si dispiega con un’intensità sproporzionata alla provocazione e quindi può essere pericolosa;
4) non cerca il successo, ma lo scacco e la punizione perché hanno l’effetto di diminuire il senso di colpa.
La pseudo-aggressività è frequente nei soggetti inibiti spesso sotto forma di collere improvvise, suscitate da provocazioni minime che esplodono contro il primo venuto o contro un oggetto materiale.
Il divieto che la coscienza impone all’aggressività sfocia in una vera e propria forma di castrazione della personalità, per cui il soggetto, in questo caso uno dei fratelli risulta passivo, chiuso, ostinato nel silenzio o nella resistenza, arrabbiato e depresso nello stesso momento.
Il soggetto ne prova un sentimento di vergogna che rimuove così come ha fatto con l’aggressività e tenta di compensarlo con una formazione reattiva: prima di tutto una formazione reattiva che determina un comportamento docile, remissivo, autopunitivo; in secondo luogo una formazione reattiva contro la passività che si esprime in una condotta iper-dinamica chiaramente patologica.
Procedendo nella direzione contraria della formazione reattiva che attua il soggetto, cioè uno di due o più fratelli, possiamo affermare che lì dove osserviamo un individuo molto attivo, imprendibile nel tentare di entrarci in relazione, apparentemente molto creativo, sostanzialmente irrefrenabile e impermeabile al contatto umano, in realtà ci troviamo di fronte a un passivo, rabbioso-depresso, pseudo-aggressivo che si vergogna della sua incapacità di esprimere gioiosamente la sua aggressività sana e affrontare dignitosamente e con coraggio un ostacolo.
Alexander e Aichorn mettono la pseudo-aggressività alla base di alcune condotte delinquenziali, soprattutto giovanili, riconoscendo un grado di pericolosità personale e sociale a volte maggiore della normale aggressività, sicuramente più intensamente distruttiva riguardo i processi di sviluppo della psiche del soggetto e delle sue relazioni familiari e sociali.