Sul dispositivo di cura

 




"Le cose che si amano 
non si posseggono, 
si custodiscono"
(Catullo)


La psicoterapia è un complesso dispositivo relazionale che attiva radicali processi di evoluzione e trasformazione dell'individuo.

La trasformazione implica uno sviluppo della conoscenza di ciò che è già effettivo e differenziato.
 
L'evoluzione è una modalità di funzionamento mentale connessa ad esperienze di fatti sconosciuti e che in parte ancora devono accadere (la personalità del paziente in evoluzione; l'inconscio) quindi non rappresentabile e comunicabile immediatamente, ma dotata di un'intensa carica emotiva e fornita di un notevole potenziale di verità e di maturazione personale. 

L'evoluzione implica la possibilità di entrare in contatto con elementi della realtà psichica ancora indistinti e non organizzati e di poterli stimolare alla differenziazione. 

Il lavoro psicoterapeutico si concentra su questo aspetto della maturazione dell'individuo e tende a formare una turbolenza psicologica nello stato d'animo del paziente che apparirà sofferente e spaventato. 

"Le trasformazioni hanno un significato distruttivo che comporta una iperstimolazione di emozioni primordiali (amore, passione, angoscia, terrore). 
Ad esse fa seguito un brusco e violento sconvolgimento della struttura psichica, la quale mantiene però un qualche elemento invariante che la rende riconoscibile nella sua individualità" (Bion) 

Il lavoro terapeutico produce un cambiamento nella personalità del paziente e incrementa la sua capacità di assumersi responsabilmente ciascuna delle emozioni che costituiscono la sua realtà psichica, qualunque sia la loro natura. 

Per James Strachey e Melanie Klein l'ostacolo maggiore che si incontra in un'analisi è nelle resistenze poste in atto dal paziente attraverso l'onnipotenza della fantasia inconscia con  modalità primitive e infantili di funzionamento e nelle difese contro l'angoscia causata dai conflitti inconsci. 

Per Wilfred Bion l'ostacolo è soprattutto nella difesa dal processo di evoluzione attuata attraverso attacchi al proprio corredo mentale e appiattimento delle proprie esperienze emotive. 

Questa sarebbe l'espressione del timore della personalità verso ciò che è ignoto o che appare incoerente e incomprensibile, e il prodotto delle difficoltà che si verificano nell'affrontare le concomitanze catastrofiche della maturazione psichica. 

Bion individua un senso di catastrofe disancorato e fluttuante che forma un elemento essenziale dell'esistenza e funziona da invariante su cui si possono collocare contenuti più specifici (terrore della morte, della nascita, del mutamento). 

In assenza di un senso di catastrofe l'Io non esiste e in assenza dell'Io non esiste un senso di catastrofe: 

"Il senso della catastrofe che non riesce a fungere da collegamento tra gli aspetti della personalità è analogo al pianto del bambino che non riesce a diventare comunicazione" (Bion) 

Il dispositivo di cura nel momento in cui accoglie e riesce a sopravvivere alle angosce che il paziente vi ha depositato, diventa il luogo di una relazione rivoluzionaria nella quale gli elementi terrificanti e catastrofici della mente possono iniziare a evolvere verso l'integrazione dell'individuo.


Adattamento e conflitto del Sè


  


"L'abitudine a cui non poniamo resistenza
diventa necessità"
(Sant'Agostino) 



Le caratteristiche della struttura corporea sono espressioni dell'adattamento all'ambiente e la variazione creativa all’esperienza di vita.

La storia familiare, le esperienze varie e il senso di sé sono elementi di adattamento e di reazione attraverso un modellamento del pensiero, delle opinioni e del modo in cui l’individuo s’incarna (reazioni fisiche, movimento, postura, funzionamento neuro-vegetativo).

Proprio come gli schemi d’interazione familiare, di comportamento o del senso di se stessi diventano persistenti, anche il modo in cui si struttura la natura corporea diventa tanto abituale da sembrare parte delle ossa e delle fibre.

I processi naturali dell’assumere una posizione difensiva (trattenere il respiro, incurvare le spalle, inclinarsi per schivare un pericolo) costituiscono una parte dell’adattamento ai cambiamenti ambientali. 

Quello che era un processo di adattamento può diventare una struttura costante e fissa della postura corporea, segnalando che l’organismo percepisce costantemente la presenza di un pericolo.

I processi organici di adattamento e di variazione diventano strutture corporee fisse quando sono usate abitualmente, qualche volta perché l’ambiente lo richiede, più spesso perché il soggetto fissa un senso di sé attraverso quella specifica difesa.

Un bambino definisce se stesso come duro e corazzato, evitando il suo senso di debolezza, indurendo il torace e i muscoli pettorali, assumendo una postura rigida.

I terapeuti ad orientamento corporeo sanno che molto di ciò che appare fisso e convenuto nel corpo di una persona in realtà è piuttosto plastico e soggetto a cambiamento, quando si verificano le giuste condizioni. 

Se tali strutture apparentemente fisse possono essere modificate, allora forse esse sono state modellate e alterate a partire da una struttura corporea più equilibrata e flessibile che tutti abbiamo in comune?

Chiamarle semplicemente abitudini non spiega bene il significato delle strutture corporee di adattamento.

Come fanno questi processi a diventare tanto abituali e predominanti da arrivare a essere strutturali?

Nell’esperienza generale dell’unità e integrità del corpo e di sé, quando parti del sé vengono rinnegate, sono gli aspetti corporei delle funzioni di contatto ad essere alienati dal proprio senso di sé.

È il processo di rinnegamento del sé corporeo (inibizione di movimenti, desensibilizzazione della neurocezione, sottrazione dell’Io all’esperienza corporea, espressione fisica incompleta) che si struttura nel tempo.

In questo senso la struttura corporea di adattamento ha in sé implicita la funzione di contatto rinnegata, il movimento o sentimento rinnegato e il processo attraverso il quale essa è stata rinnegata, cioè la tensione che la esclude dalla consapevolezza e dall’espressione.

Il Sé è stato suddiviso in parti ed è in conflitto con se stesso.

I conflitti emotivi più importanti per l’individuo, e dunque persistenti, diventano evidenti nel corpo sia a un livello strutturale che funzionale.



L'assemblaggio, il simbolico e il sistemico



  


"Solo attualizzando lo psichico lo si può indagare,
perché esso è sempre qualitativamente specifico"
(Karl Jaspers)



Nel passaggio dallo stato di Natura a quello di Cultura ha un ruolo centrale poter assicurare l'esistenza di un gruppo strutturato, sostituendo l'organizzazione al caso in modo che sia garantito il controllo e la ripartizione di beni.

La regolamentazione dei legami nel gruppo esige che i desideri siano canalizzati o repressi. 

L'Istituzione deve produrre e far regnare l’ordine e il controllo per effettuare il passaggio dalla natura caotica alla cultura organizzata (Kaes).

La dimensione culturale interessa i sistemi di rappresentazione e d'interpretazione che organizzano la formazione del senso dell'Istituzione. 

I sistemi riguardano i significati condivisi in quanto partecipano di credenze comuni ed esprimono dei valori e delle norme che contribuiscono a definire l'identità dell'istituzione e i punti di riferimento dei suoi membri. 

L'Istituzione mobilita nei suoi soggetti funzioni e processi psichici, li canalizza, li controlla e li domina. 

Queste mobilitazioni hanno un effetto strutturante della realtà psichica dell’Istituzione.

L'Istituzione svolge funzioni psichiche fondamentali, tra cui quelle di proporre possibilità di realizzare delle mete e il compimento parziale di scenari emotivi personali. 

Essa permette anche la realizzazione simbolica dell'affiliazione e dell'appartenenza a un insieme, della continuità narcisistica e della partecipazione a ideali comuni.

L'Istituzione impone ai suoi soggetti un'esigenza di lavoro psichico sulle formazioni e i processi del legame istituzionale: l'Istituzione come oggetto, i membri dell'Istituzione, i loro legami.
  
L'economia psichica dell'Istituzione si caratterizza per un sistema di tensione tra la struttura, che riguarda l’aspetto di continuità rassicurante, e la circolazione di affetti e dinamiche personali che le conferisce una fisionomia energetica predisposta alle trasformazioni (Pinel).

Questo sistema di tensione, sempre precario, è stato assimilato all'oscillazione tra la mania e la depressione (Freud), simile all'alternanza tra posizione schizo-paranoide e posizione depressiva (Klein, Bion).

L'Istituzione è attraversata da movimenti di oscillazione che si traducono in congiunzioni e disgiunzioni, associazioni e dissociazioni (Kaes).

L'Istituzione realizza un assemblaggio di registri (psichico, emotivo, sociale, gruppale) e di logiche (emotiva, individuale, gruppale, sociale).

Collocandosi all'incrocio tra il dentro e il fuori, segnalando i rapporti del singolare con il plurale, intra e intersoggettivo, l'Istituzione è un'istanza sensibile agli effetti dello slegamento delle relazioni.

Che si manifesti attraverso una deregolazione parziale o un disinvestimento globale e una messa in crisi, lo slegamento dei legami istituzionali si accompagna spesso a una sofferenza psichica che affligge le persone e i gruppi che compongono l'insieme istituito.

Ogni legame è un incontro istituzionalizzato, è Natura che diventa Cultura. 

Luogo di progetti, alleanze e rassicurazioni ma anche groviglio di proiezioni, dinamiche psichiche e dolorose frustrazioni personali.



Appunti su affetti e legami

  



"E ogni angoscia che ora par mortale

di fronte al perder te, non parrà eguale"

(William Shakespeare)


Wilhelm Reich utilizza il termine armatura caratteriale per comprendere e descrivere in modo dinamico la funzione del carattere di una persona.

Secondo una visione economico/sessuale l’Io dell’individuo durante il conflitto fra pulsione e paura di punizione, assume una specifica struttura difensiva.

Per realizzare la limitazione della pulsione imposta dal mondo sociale e per padroneggiare l’ingorgo di energia che ne risulta, l’Io deve modificarsi. 

Il processo è interamente causale.

L’Io, la parte esposta della persona che Freud individuò nel sistema muscolare, s’indurisce quando si trova in una situazione conflittuale fra bisogno personale e mondo esterno minaccioso.

In quel momento acquista uno stile reattivo cronico che funziona automaticamente e contemporaneamente si delinea il carattere della persona.

L'individuo ha dovuto acquisire certe caratteristiche per gestire e padroneggiare angosce e aspettative ma, se fino a una certa età l'armatura caratteriale può dare dei vantaggi di potenza e determinazione, con il passare degli anni diventa sempre più un ostacolo alla completa realizzazione della persona. 

I bisogni adulti e la completa maturazione del talento naturale della persona troveranno nell'armatura un ostacolo e una serie di divieti imposti dai bisogni di difesa e protezione dall'angoscia che l'individuo ha dovuto erigere nei primi anni di vita. 

La personalità affettiva si corazza e i colpi provenienti dal mondo esterno e le esigenze dei bisogni interiori si appiattiscono e s’indeboliscono urtando contro l’armatura.

L’armatura ha la funzione di rendere l’individuo meno sensibile al dispiacere ma limita anche la sua mobilità affettiva e aggressiva e diminuisce la capacità di auto-realizzazione e di provare piacere.

L’Io è meno mobile, più rigido e dal grado di spessore dell’armatura dipende la capacità di ordinare l’economia delle energie vitali. 

L’armatura caratteriale richiede molta energia perché si mantiene con il continuo consumo di forze affettive, cioè vegetative, che altrimenti (nel caso di una loro inibizione motoria) potrebbero produrre angoscia. 

In questo modo l’armatura caratteriale adempie alla funzione di elaborare e consumare l’energia vegetativa.

Dallo smantellamento analitico-caratteriale dell’armatura spesso emerge un’aggressività legata.

Quando nell’analisi del carattere si riesce a liberare l’aggressività contenuta nell’armatura si libera anche angoscia. 

L’angoscia può essere trasformata in aggressività così come l’aggressività può essere trasformata in angoscia.

L’inibizione dell’aggressività e l’armatura psichica si presentano insieme a un tono muscolare aumentato e a una rigidità della muscolatura delle estremità del corpo e del tronco.

I pazienti affettivamente bloccati appaiono rigidi. 

Una modifica della loro tensione muscolare risulta un’operazione complessa.

Se si dice al paziente di rilassarsi volutamente la tensione muscolare viene sostituita da inquietudine. 

In altri casi i pazienti eseguono involontariamente movimenti di diverso tipo la cui inibizione provoca immediatamente sensazioni di apprensione.

Questo stesso tipo di osservazioni indusse Ferenczi a costruire degli interventi tecnici attivi. Egli scoprì che l’impedimento di reazioni muscolari croniche aumenta l’ingorgo.

Reich collega questo fenomeno a qualcosa di più complesso di semplici modifiche quantitative dell’eccitazione. Egli si riferisce all’identità funzionale fra armatura caratteriale e ipertonia muscolare (rigore muscolare).

"Ogni aumento del tono muscolare, verso la rigidità, è un segno che un’eccitazione vegetativa, l’angoscia o la sessualità sono state legate. 
Se si manifestano sensazioni genitali, parecchi pazienti riescono ad eliminarle o ad attenuarle con l’inquietudine motoria; è esattamente ciò che accade quando si elaborano sensazioni di apprensione. 
Pensiamo alla grande importanza che riveste l’irrequietezza muscolare nella prima infanzia come scarica di energia" (Reich)  


Neolocalizzazione

 




"La fantasia deve attenersi 
al probabile, la realtà no"
(Mark Twain)


Ogni gruppo attende una comunicazione, esplicativa di accadimenti esterni, che introduca nel suo perimetro strutture, regole e una fisionomia delle sue appartenenze.

L'individuo contribuisce alla collettività gruppale e l'espressione della somma dei contributi definisce nuove qualità. 

L'insieme dei contributi ritorna al singolo come forma amplificata dell'attitudine a partecipare e condividere.

Nel gruppo questi atteggiamenti raggiungono la soglia della percezione per effetto della proliferazione dei processi di auto-rappresentazione dell'individuo. 

Il membro del gruppo processa la sua esperienza tante volte quanti sono gli altri membri del gruppo, più uno: l'entità costituita dal nuovo insieme è il processo primario, iniziale e imprescindibile che consente il confronto e il dibattimento inter-soggettivo.

Nello scenario gruppale, l'intra-soggettivo (con il quale non intendo esclusivamente l'intra-psichico, ma anche e soprattutto l'intra-corporeo, riconoscendo al gruppo la capacità di attivare condizioni fisiche e fisiologiche, oltre a stati psichici connotati, che rendono il vissuto particolarmente riconoscibile) assume valore di luogo

La definizione, che accoglie il pensiero che il soggetto possa diventare contenitore non del gruppo ma della gruppalità, esprime l'idea che il volume dell'intra-soggettivo funga da spazio-parlante. 

Nell'etimologia incerta della parola luogo (forse dal latino locu) e dalla stessa incertezza sul termine latino locutus, che è la radice etimologica di locuzione, deriva il significato di un luogo che l'intra-soggettivo occupa nel gruppo e una sua identità locutiva: quella di produrre enunciati dotati di senso.

Il locutore (il parlante) è il luogo della gruppalità e il locus è la posizione fissa che occupa nel gruppo (locus, da locu, indica la posizione fissa che un determinato gene occupa sul cromosoma). 

La sequenza dei locus, la con-catenazione degli eventi verbali e la definizione del ritmo in un tempo del gruppo, introduce la narrazione e il dialogo, intra-soggetto e inter-soggetto.

Il legame associativo attraverso il quale si forma il gruppo si basa su due processi combinati: un processo di cooperazione nella realizzazione di un'intenzionalità collettiva; un processo di fissazione e di stabilizzazione dei contenuti di pensiero delle persone impegnate nell'azione collettiva, che crea un grado di sapere reciproco necessario al processo precedente.” (Trognon)

Gruppo da gropponodo, derivati dal latino cruppa: insieme di cose o persone riunite, accostate una all'altra.
     
La partecipazione alla vita di gruppo degrada l'individuo, rende i suoi processi mentali simili a quelli della folla, la cui brutalità, inconsistenza  e irragionevole impulsività sono state il tema di tanti scrittori; tuttavia, soltanto con la partecipazione alla vita di gruppo l'uomo può diventare completamente umano, soltanto così può sollevarsi al di sopra del livello del selvaggio.” (McDougall)



Ingiunzione paradossale

  




"Due paradossi sono meglio di uno,
possono anche suggerire una soluzione"
(Edward Teller)



"Per ordine del comandante, il soldato che è barbiere della caserma deve radere sempre e solo quelli che non si radono da soli e mai chi si rade da sé. Se egli rade se stesso, non può; se non rade se stesso, deve farlo. 
Questo tipo di barbiere non può esistere, è bloccato." (Paradosso di Russell)

Il comportamento di ogni bambino incontra il paradosso esistenziale della separazione perché si trova in relazione con la madre, che gli impone di confrontarsi con le inevitabili ingiunzioni affettive paradossali della vita.

Se il bambino diventa autonomo e si allontana dalla madre, non può! 
Se non cresce e diventa autonomo, deve!

Il campo affettivo ambivalente e la condizione psichica paradossale sono particolarmente evidenti nella primissima età scolare. 

Le potenti angosce che il bambino vive segnalano il dramma soffocante del paradosso autonomia/dipendenza nel quale si trova.

Si potrebbe uscire dal paradosso del barbiere lasciando crescere la barba, ma il paradosso persisterebbe e inchioderebbe il barbiere alla sua identità contraddittoria perché egli è un soldato e l’ordine gli è stato dato dal suo comandante. 

L’ordine non si può ne discutere ne interpretare.

La condizione fondamentale per incastrare l’identità autonoma di un individuo è la qualità affettiva del campo relazionale nel quale le comunicazioni hanno luogo. 

Minore è il grado di creatività concesso, maggiore è la possibilità che l’ingiunzione paradossale abbia successo.

Una madre regala al figlio due magliette, il figlio ne indossa una, la madre dispiaciuta gli dice: “Che peccato, l’altra non ti piace?!”

In un campo affettivo costruito con queste caratteristiche, nessuna scelta è possibile perché ogni scelta è un errore e provoca senso di colpa. 

Il figlio per evitare questa frustrazione non sceglie e rinuncia alla propria autonomia.

L’individuo è incastrato nel paradosso affettivo come il barbiere dall’ordine del suo comandante. In queste condizioni l’individuo non può esistere. 

Egli è se stesso se, e solo se, egli non è se stesso.

Ma siamo ancora alle derivazioni esistenziali del paradosso di Russell nella sua prima formulazione, quella del 1901.

Una seconda formulazione, risalente al 1918, viene estesa agli insiemi e comporta interessanti implicazioni culturali. 

A questo punto il paradosso diventa un’antinomia e si esprime così:
L’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene a se stesso se e solo se non appartiene a se stesso”.

Le derivazioni di questo pensiero riguardano l’identità e la qualità specifica dell’individuo, inteso come insieme complesso, fisiologico e culturale.

Essere se stessi se, e solo se, non si è se stessi.

Sembra una follia eppure i concetti di resa della bioenergetica e di trascendenza di alcuni culti esprimono lo stesso significato.

È un livello ultra-raffinato di esistenza nel quale si fa evolvere l’esperienza del controllo fino alla sua negazione paradossale, cioè la condizione del dominio.

E’ la dominium ex iure Quiritium codificata dai romani dell’era imperiale per regolare il rapporto tra l’individuo e la proprietà.

E’ necessario un controllo volontario quando una cosa, una funzione, un processo non appartengono completamente all’individuo. 

La graduale confidenza e padronanza permettono una dominazione degli eventi tale che, le procedure e la relazione, possono passare a un livello più profondo e inconscio dell’attività psicofisica dell’individuo.

Una volta stabilita questa particolare forma di relazione, nella quale i processi seguono un corso fluido e naturale, reinserire modalità di controllo più cosciente può risultare d’intralcio e disfunzionale.

Ormai la relazione ha una sua fisionomia specifica derivante dall’incontro delle qualità in campo e il soggetto, per essere completamente pieno nella sua esperienza di contatto con la realtà, deve rinunciare a essere solamente se stesso e abbandonarsi al campo al quale ormai appartiene.

Ciò è valido nella guida di un’automobile, nel funzionamento di una relazione ma anche in alcuni processi di evoluzione che si attraversano in un percorso psicoterapeutico.





Plasticità esperienza dipendente

  




"La madre si ama attraverso il figlio"
(F. Nietzsche)



La Natura e la Cultura modellano il cervello umano, promuovono capacità, abilità e delineano talenti e competenze.

La mente nasce dal corpo e dalla coscienza di sé, i desideri sono propensioni neurobiologiche e quindi i disturbi psichici implicano anche processi organici.

Natura e Cultura si fondono durante lo sviluppo psico-fisico e il confine tra organico e funzionale si dissolve in quel processo che viene indicato come plasticità esperienza dipendente.

Questa espressione indica che il cervello è strutturato e ristrutturato continuamente dalle interazioni con l’ambiente sociale e naturale. 

"Le ricerche scientifiche  chiariscono sempre più nettamente la funzione di quelle componenti della costruzione del cervello stimolate dall’interazione madre-figlio" (Cozolino)

Benché la maggior parte di ciò che sappiamo sulla plasticità sia stata scoperta in altre specie viventi (mammiferi), la conservazione evolutiva delle strutture e delle strategie degli individui consente di imparare molte cose sul cervello umano.

"Può essere azzardato trarre delle conclusioni definitive sull’uomo partendo dallo studio degli animali ma si possono fare delle ipotesi da verificare, proporzionalmente al miglioramento delle tecniche d’indagine" (Hofer)

Sappiamo che la connessione tra madre e figlio è un fattore determinante dello sviluppo e dell’adattamento del cervello. 

In una situazione ottimale ognuno dei due è colpito dalla vista, dai suoni e dai movimenti dell’altro, ognuno dei due desidera imparare il linguaggio dell'altro, per riuscire a superare la distanza che li separa.

L’impatto della madre sul cervello del figlio è intenso e molto esteso; le interazioni precoci costruiscono reti neurali e segnano dei parametri biologici decisivi che influenzeranno il resto della sua vita.

L’importanza della relazione madre-figlio è contenuta nel proverbio ebraico che dice: 
"Dio non poteva essere ovunque e perciò ha creato le madri."

Il cervello di una neo-mamma viene stimolato a cambiare e a crescere dalla nascita del figlio. 

L’encefalo e altre parti del sistema nervoso, sono rimodellate da una nuova combinazione di ormoni, collegata alla gestazione e dall’intensa stimolazione sensoriale ed emotiva che il neonato le offre.

La semplice vista del volto materno per il neonato comporta l’innesco di alti livelli di oppioidi endogeni, responsabili degli aspetti piacevoli delle interazioni sociali, i quali agiscono sui centri di ricompensa sottocorticale. 

La stimolazione positiva ed eccitante da parte della madre innesca la produzione del fattore di rilascio di corticotropina (CRF) nell’ipotalamo del bambino, attivando il sistema nervoso simpatico.

Il CRF, che controlla la produzione di endorfina e dell’ACTH (ormone adrenocorticotropo) nell’ipofisi anteriore, stimola la produzione di dopamina. 

I cambiamenti biologici si correlano con stati intensi di eccitazione e di euforia nel bambino, durante le interazioni con la madre. 

Ad un livello più centrale, questi neurotrasmettitori sono implicati nella regolazione di energia metabolica del cervello, nella maturazione della corteccia e del sistema limbico (Cirulli; Schore).